
Il training autogeno permette di disinnescare un attacco di panico agendo direttamente sulla sua radice fisiologica, non solo sui sintomi.
- Insegna a “spegnere” l’interruttore della reazione di “lotta o fuga” (sistema simpatico) per attivare quello del “riposo e digestione” (parasimpatico).
- Le formule verbali (es. “il mio braccio è pesante”) non sono suggestioni magiche, ma comandi che innescano risposte fisiche reali come la vasodilatazione e il rilassamento muscolare.
Raccomandazione: Iniziare con gli esercizi di base della pesantezza e del calore per apprendere il meccanismo di commutazione, ma considerare sempre un percorso con un professionista se si soffre di disturbi gravi o ricorrenti.
La sensazione è inconfondibile: il cuore inizia a battere all’impazzata, il respiro si fa corto, le mani diventano fredde e sudate, a volte compaiono vertigini. È l’inizio di un attacco di ansia o di tachicardia, un’esperienza che lascia una profonda sensazione di perdita di controllo sul proprio corpo. In questi momenti, i consigli più comuni come “respira profondamente” o “distraiti” possono sembrare inutili, quasi offensivi. Si ha la percezione che il corpo sia un nemico impazzito, impossibile da domare con la sola forza di volontà. Questo circolo vizioso, dove la paura dei sintomi alimenta i sintomi stessi, è la gabbia del disturbo d’ansia.
Come psicoterapeuta, vedo quotidianamente pazienti intrappolati in questa lotta. La loro domanda è sempre la stessa: come posso riprendere il controllo? La risposta non risiede nel combattere il proprio corpo, ma nell’imparare a comunicare con esso in un linguaggio che possa comprendere. Ed è qui che interviene il Training Autogeno (TA) di Johannes Heinrich Schultz. Molti lo considerano una semplice tecnica di rilassamento, ma è una visione profondamente riduttiva. Il TA è un vero e proprio percorso di allenamento neurofisiologico. L’obiettivo non è distrarsi dai sintomi, ma disinnescarli alla radice, insegnando al nostro sistema nervoso autonomo a passare volontariamente dallo stato di allarme a quello di calma.
Ma se la vera chiave non fosse “calmarsi”, bensì imparare a pilotare consapevolmente l’interruttore biologico che regola le nostre reazioni involontarie? Questo articolo non si limiterà a elencare esercizi. Vi guiderà a comprendere il “perché” funzionano, spiegando come semplici formule verbali possano influenzare la frequenza cardiaca e la temperatura corporea. Esploreremo i meccanismi neuroscientifici alla base del TA, confronteremo il suo approccio con altre tecniche e, soprattutto, delineeremo un percorso sicuro e consapevole per integrare questo potente strumento nella gestione della propria salute emotiva e fisica, sottolineando quando e perché la guida di un professionista non è solo utile, ma indispensabile.
In questa guida approfondita, analizzeremo passo dopo passo come il training autogeno possa diventare un alleato fondamentale per gestire le reazioni somatiche. Esploreremo i principi scientifici, le applicazioni pratiche e le precauzioni necessarie per un uso efficace e sicuro.
Sommario: Gestire l’ansia con il training autogeno
- Perché ripetere “il mio braccio è pesante” influisce davvero sul sistema nervoso autonomo?
- Come riscaldare mani e piedi freddi da stress usando solo la concentrazione mentale?
- Schultz o Jacobson: quale tecnica funziona meglio per chi non riesce a stare fermo?
- L’errore di praticare da soli se si soffre di disturbi dissociativi gravi
- Quando usare il training autogeno per recuperare energie nell’intervallo di una partita?
- Come fermarsi 3 secondi prima di rispondere male e salvare la reputazione professionale?
- Perché avete vertigini e formicolii anche se il cuore è sano?
- Come distinguere l’ansia normale da un disturbo d’ansia generalizzata (GAD) che richiede cure?
Perché ripetere “il mio braccio è pesante” influisce davvero sul sistema nervoso autonomo?
L’idea che una semplice frase possa avere un effetto fisico tangibile può sembrare quasi magica, ma il suo funzionamento è radicato nella neurofisiologia. Quando ripetiamo mentalmente “il mio braccio è pesante”, non stiamo cercando di convincerci di qualcosa, ma stiamo attivando un meccanismo noto come risposta ideomotoria. Il cervello, concentrandosi sull’idea di pesantezza, invia segnali motori subliminali ai muscoli del braccio, inducendoli a rilasciare la tensione. Questo è il primo passo di un processo più profondo chiamato “commutazione autogena”.
Il nostro corpo è governato dal Sistema Nervoso Autonomo (SNA), diviso in due rami: il sistema simpatico (la modalità “lotta o fuga”, che accelera il cuore e tende i muscoli) e il sistema parasimpatico (la modalità “riposo e digestione”, che rallenta e rilassa). Un attacco di panico è un’attivazione massiccia e inappropriata del sistema simpatico. L’esercizio della pesantezza, inducendo un rilassamento muscolare profondo, invia un feedback al cervello: “Pericolo rientrato”. Questo segnale facilita il passaggio dal dominio del sistema simpatico a quello del parasimpatico. Di conseguenza, la frequenza cardiaca inizia a diminuire, la pressione sanguigna si abbassa e l’intero stato di allarme fisiologico comincia a placarsi.
Non è un caso che il training autogeno si sia dimostrato efficace per una vasta gamma di disturbi. Infatti, studi clinici confermano che il training autogeno è efficace per numerosi disturbi psicosomatici legati agli apparati respiratorio, digerente, cardiovascolare ed endocrino. La formula della pesantezza è la chiave d’accesso per iniziare a regolare volontariamente funzioni che normalmente consideriamo al di fuori del nostro controllo.
Come riscaldare mani e piedi freddi da stress usando solo la concentrazione mentale?
Le mani e i piedi freddi durante un episodio d’ansia sono un sintomo classico e diretto della reazione di “lotta o fuga”. Il sistema nervoso simpatico, in stato di allarme, provoca una vasocostrizione periferica: restringe i vasi sanguigni nelle estremità per convogliare più sangue verso i muscoli vitali e il cuore, preparandoli a una potenziale azione fisica. Questo meccanismo, utile per un antenato di fronte a una minaccia reale, è disfunzionale e sgradevole durante una riunione di lavoro o in coda al supermercato.
L’esercizio del calore del Training Autogeno (“La mia mano destra è piacevolmente calda”) agisce come un contro-comando diretto a questo riflesso. Concentrandosi passivamente sulla sensazione di calore, si innesca il processo inverso: la vasodilatazione periferica. Attraverso la stessa risposta ideomotoria vista per la pesantezza, il cervello invia segnali che inducono i muscoli lisci delle pareti dei vasi sanguigni a rilassarsi. Questo permette al sangue caldo di fluire nuovamente verso le estremità, riscaldandole.
L’immagine sottostante illustra visivamente questo processo di ripristino del flusso sanguigno, un passo cruciale per segnalare al corpo che l’emergenza è terminata.

Come potete osservare, il ritorno del calore non è solo una sensazione piacevole, ma la prova fisica che siete riusciti a invertire una reazione di stress. Padroneggiare l’esercizio del calore significa possedere uno strumento per calmare attivamente il sistema cardiovascolare. È la dimostrazione pratica di come, attraverso la “commutazione autogena”, si possa riprendere il controllo consapevole delle funzioni corporee, passando dall’allarme alla quiete.
Schultz o Jacobson: quale tecnica funziona meglio per chi non riesce a stare fermo?
Nel panorama delle tecniche di gestione dello stress, il Training Autogeno (TA) di Schultz e il Rilassamento Muscolare Progressivo (RMP) di Jacobson sono due approcci fondamentali, ma spesso confusi. Entrambi mirano al rilassamento profondo, ma lo fanno attraverso vie quasi opposte, rendendoli adatti a diversi tipi di “irrequietezza”. La scelta tra i due dipende dalla natura del proprio disagio: mentale o fisico. Come sottolineato in analisi comparative, la specificità del TA è notevole.
Il Training Autogeno si distingue per la sua azione mirata sulla regolazione delle funzioni corporee, come la frequenza cardiaca, la respirazione e la vasodilatazione periferica, grazie all’uso di formule specifiche.
– Studio comparativo Kohlert et al., Unobravo – Training autogeno: benefici ed efficacia
Il TA di Schultz è una tecnica di concentrazione passiva. Si basa sull’immobilità e sulla ripetizione mentale di formule, senza alcun movimento fisico. Questo lo rende ideale per chi soffre di irrequietezza mentale: pensieri accelerati, ruminazione, incapacità di “spegnere il cervello”. L’attenzione richiesta per le formule agisce come un’ancora per la mente, distogliendola dal flusso caotico dei pensieri e focalizzandola sulle sensazioni corporee. Al contrario, l’RMP di Jacobson è un metodo attivo. Prevede la contrazione volontaria di specifici gruppi muscolari, seguita dal loro rilascio, per imparare a percepire la differenza tra tensione e rilassamento. Questo lo rende più adatto a chi manifesta l’ansia con una forte irrequietezza fisica: gambe che tremano, bisogno di muoversi, tensione muscolare cronica. L’azione fisica di contrarre e rilasciare fornisce un canale per scaricare la tensione e rende più facile percepire il rilassamento successivo.
Il seguente tavolo offre un confronto diretto per aiutarvi a identificare l’approccio più in linea con le vostre esigenze personali.
| Caratteristica | Training Autogeno (Schultz) | Rilassamento Progressivo (Jacobson) |
|---|---|---|
| Approccio | Concentrazione passiva | Tensione-rilassamento attivo |
| Ideale per | Irrequieti mentali | Irrequieti fisici |
| Durata apprendimento | 8-9 settimane | 4-6 settimane |
| Movimento richiesto | Nessuno (immobilità) | Contrazione muscolare attiva |
| Autonomia pratica | Alta dopo apprendimento | Richiede più guida iniziale |
L’errore di praticare da soli se si soffre di disturbi dissociativi gravi
Il Training Autogeno è uno strumento potente e sicuro per la maggior parte delle persone che soffrono di ansia e stress. Tuttavia, esiste una controindicazione assoluta che non deve mai essere sottovalutata: la sua pratica in solitaria da parte di chi soffre di disturbi dissociativi gravi, psicosi o depressione maggiore con ideazione suicidaria. L’errore più grande è pensare al TA come a un rimedio universale “fai-da-te”. In contesti clinici complessi, può diventare un fattore di rischio se non gestito da un professionista.
Nei disturbi dissociativi, la persona sperimenta un’alterazione della coscienza, della memoria o dell’identità. Il TA, inducendo uno stato di profonda introspezione e un abbassamento delle difese, potrebbe involontariamente favorire l’emergere di materiale traumatico o accentuare la sensazione di distacco dalla realtà, peggiorando il quadro clinico anziché migliorarlo. In questi casi, il terapeuta funge da “ancora”, un contenitore sicuro che aiuta il paziente a gestire ciò che emerge durante la pratica, integrandolo in un percorso terapeutico strutturato. Purtroppo, il contesto italiano mostra che l’accesso alle cure è ancora limitato: secondo i dati più recenti, solo un terzo di coloro che sperimentano un disagio mentale riceve un trattamento adeguato. Questo rende ancora più importante non affidarsi all’autodiagnosi e all’auto-trattamento.
Se sospettate di soffrire di un disturbo che va oltre l’ansia comune, è imperativo seguire un percorso corretto e non intraprendere tecniche come il TA in autonomia. La seguente checklist delinea i passi fondamentali per un approccio responsabile alla propria salute mentale.
Piano d’azione per un percorso sicuro
- Primo contatto: Parlare apertamente della propria situazione con il proprio medico di base (medico di famiglia), che è il primo punto di riferimento del sistema sanitario.
- Accesso ai servizi pubblici: Richiedere un primo consulto psicologico presso il Centro di Salute Mentale (CSM) della propria ASL di competenza.
- Ricerca di uno specialista: Cercare uno psicoterapeuta iscritto all’Albo degli Psicologi, verificando la sua specializzazione specifica in disturbi dissociativi o traumi complessi.
- Pratica supervisionata: Avvicinarsi al training autogeno o ad altre tecniche di rilassamento SOLO sotto la stretta supervisione di un professionista qualificato.
- Integrazione terapeutica: Assicurarsi che la tecnica sia integrata all’interno di un piano di trattamento psicoterapeutico più ampio e personalizzato.
Quando usare il training autogeno per recuperare energie nell’intervallo di una partita?
L’ambito sportivo è uno dei campi d’elezione per l’applicazione del Training Autogeno, non solo per gestire l’ansia pre-gara, ma anche come strumento strategico per il recupero psico-fisico rapido. Durante l’intervallo di una partita, o tra una manche e l’altra, l’atleta ha una finestra di tempo limitata per abbassare i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress), ridurre la frequenza cardiaca e ricaricare le energie mentali. Il TA, specialmente gli esercizi abbreviati, è perfetto per questo scopo.
In pochi minuti, concentrandosi sulle formule della calma, della pesantezza e del calore, un atleta può indurre uno stato di profondo riposo, molto più rigenerante di una semplice pausa passiva. Questo permette di “resettare” il sistema nervoso, passando rapidamente dalla modalità di massima performance (simpatico) a quella di recupero (parasimpatico), per poi essere pronti a riattivarsi per il secondo tempo. Questo non è un concetto teorico; ha fondamenta storiche e risultati misurabili. In Italia, uno degli esempi più celebri è legato alla “Valanga Azzurra” dello sci.
Studio di caso: Pierino Gros e i mondiali di sci del 1973
Ai campionati mondiali di St. Moritz, il giovane sciatore Pierino Gros era paralizzato dall’ansia prima di ogni discesa. L’allenatore Mario Cotelli, disperato, si rivolse al Prof. L. Peresson, un pioniere del TA in Italia. Attraverso l’applicazione degli esercizi del training autogeno, Gros imparò a gestire la pressione e l’ansia da prestazione. Il risultato fu straordinario: superò completamente i suoi blocchi e divenne campione del mondo. Questo caso dimostra come il TA non solo calmi, ma possa sbloccare il pieno potenziale atletico.
L’efficacia non è solo aneddotica. Gli studi scientifici nel campo della preparazione atletica hanno quantificato i benefici. Secondo le ricerche del Dr. Mel Siff, si osserva fino a un 11% di incremento del carico di allenamento quando il Training Autogeno viene utilizzato come parte integrante della preparazione, dimostrando un impatto diretto sulla capacità di recupero e sulla performance complessiva.
Come fermarsi 3 secondi prima di rispondere male e salvare la reputazione professionale?
In un contesto professionale ad alta pressione, una reazione impulsiva può compromettere rapporti e reputazione in un istante. Quella frazione di secondo tra lo stimolo (una critica, una domanda provocatoria) e la nostra risposta è un campo di battaglia neurologico. Qui si scontrano l’amigdala, il nostro centro emotivo primordiale che urla “reagisci!”, e la corteccia prefrontale, la sede del ragionamento e del controllo, che suggerisce una risposta più ponderata. Spesso, l’amigdala vince per velocità.
Il Training Autogeno offre un “micro-esercizio” da 3 secondi che può cambiare l’esito di questa battaglia. L’atto di fare un respiro lento e ripetere mentalmente una formula calmante (“Il mio respiro è calmo e regolare”) non è una perdita di tempo, ma un’azione strategica. Questa pausa intenzionale serve a interrompere il pilota automatico emotivo. Dà alla corteccia prefrontale il tempo necessario per attivarsi, analizzare la situazione e formulare una risposta controllata invece di una reazione istintiva. È un concetto che lo stesso Schultz aveva ben chiaro.
L’atto di focalizzarsi interrompe il ‘pilota automatico’ dell’amigdala (reazione emotiva) e dà tempo alla corteccia prefrontale (ragionamento) di prendere il controllo della risposta.
– Johannes Heinrich Schultz, Il Training Autogeno – Feltrinelli
Questo piccolo rituale non risolve il problema di fondo, ma crea uno spazio mentale. Invece di reagire con aggressività o difesa, si può scegliere di rispondere con una domanda di chiarimento (“Puoi spiegarmi meglio cosa intendi?”), o semplicemente prendendo tempo (“Devo rifletterci un attimo”). Questi 3 secondi non sono una resa, ma una dimostrazione di grande intelligenza emotiva e autocontrollo, qualità che definiscono un vero professionista. È l’arte di usare una tecnica di rilassamento non per “calmarsi”, ma per diventare più efficaci e lucidi sotto pressione.
Perché avete vertigini e formicolii anche se il cuore è sano?
Vertigini, sensazione di svenimento, formicolii alle mani o al viso: sono sintomi terrificanti che spesso portano le persone al pronto soccorso, convinte di avere un attacco di cuore o un problema neurologico. Nella stragrande maggioranza dei casi, dopo tutti gli esami del caso, il verdetto è “il suo cuore è sano”. Questa diagnosi, invece di rassicurare, può generare ancora più confusione e ansia: “Se non è il cuore, allora cosa mi sta succedendo? Sto impazzendo?”. La risposta risiede, ancora una volta, nel sistema nervoso e in un fenomeno chiamato iperventilazione.
Durante un attacco d’ansia, il respiro diventa inconsapevolmente più rapido e superficiale. Questo altera l’equilibrio tra ossigeno e anidride carbonica (CO2) nel sangue. Una diminuzione dei livelli di CO2 (ipocapnia) provoca una serie di reazioni a catena: i vasi sanguigni che irrorano il cervello si restringono, causando le vertigini e la sensazione di “testa leggera”. Allo stesso tempo, l’alterazione del pH del sangue aumenta l’eccitabilità delle terminazioni nervose, provocando i tipici formicolii (parestesie) a mani, piedi e intorno alla bocca. Questi sintomi, sebbene spaventosi, non sono pericolosi. Sono “falsi allarmi” fisiologici, la conseguenza diretta di una respirazione disfunzionale guidata dall’ansia.
Il Training Autogeno, in particolare l’esercizio sul respiro (“Il mio respiro è calmo e regolare”), aiuta a normalizzare la frequenza e la profondità della respirazione, ripristinando il corretto equilibrio gassoso nel sangue e facendo scomparire i sintomi. È fondamentale, tuttavia, che una prima diagnosi medica escluda cause organiche. In Italia, benché il disturbo sia noto, la sua prevalenza è contenuta; secondo lo studio ESEMeD dell’ISS, meno del 2% della popolazione soffre di un vero e proprio disturbo da attacchi di panico, ma molti di più sperimentano episodi isolati con questa sintomatologia.
Punti chiave da ricordare
- Il Training Autogeno è un allenamento attivo del Sistema Nervoso Autonomo, non una semplice tecnica di rilassamento passivo.
- Agisce sulla radice fisiologica dell’ansia (vasocostrizione, tachicardia) insegnando al corpo a invertire queste reazioni attraverso formule specifiche.
- La supervisione di un professionista è indispensabile per chi soffre di disturbi complessi come quelli dissociativi o psicotici.
Come distinguere l’ansia normale da un disturbo d’ansia generalizzata (GAD) che richiede cure?
L’ansia è un’emozione umana, una reazione normale e persino utile di fronte a una minaccia o a una sfida. Provare ansia prima di un esame o di un colloquio di lavoro è funzionale. Diventa un problema quando cessa di essere una reazione a un evento specifico e si trasforma in uno stato di preoccupazione costante, pervasivo e sproporzionato. Questa è la differenza fondamentale tra l’ansia “normale” e un Disturbo d’Ansia Generalizzata (GAD). I criteri per distinguere le due condizioni sono principalmente tre: intensità, durata e impatto sulla vita quotidiana.
Nel GAD, la preoccupazione è eccessiva, riguarda molteplici aree della vita (lavoro, salute, finanze) e persiste per la maggior parte dei giorni per almeno sei mesi. Soprattutto, questa ansia cronica compromette significativamente il funzionamento sociale, lavorativo o personale. Si smette di uscire, si rende meno sul lavoro, le relazioni si deteriorano. Purtroppo, questa condizione è molto diffusa. Un recente report ha evidenziato che secondo il Mind Health Report 2024 di Axa e Ipsos, il 28% della popolazione italiana soffre di una qualche forma di disturbo mentale, con l’ansia al primo posto. Il fenomeno è particolarmente acuto tra le generazioni più giovani, come testimoniato da recenti studi post-pandemici.
Il 49,4% dei giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 25 anni dichiara di aver sofferto di ansia e depressione negli anni successivi all’emergenza sanitaria, mentre il 40% ha sviluppato una visione del futuro più pessimistica.
– Giovani italiani post-pandemia e salute mentale, State of Mind
Riconoscere di aver superato la soglia dell’ansia “normale” è il primo, coraggioso passo per cercare aiuto. Strumenti come il Training Autogeno possono essere estremamente utili per gestire i sintomi, ma un GAD richiede un inquadramento psicoterapeutico che aiuti a comprenderne e a elaborarne le radici profonde.
Se riconoscete che la vostra ansia è diventata pervasiva e invalidante, l’azione più importante che potete intraprendere è chiedere un consulto a un professionista della salute mentale. Un percorso psicoterapeutico può fornirvi gli strumenti non solo per gestire i sintomi, ma per ritrovare un equilibrio duraturo.