Pubblicato il Marzo 15, 2024

In sintesi:

  • L’ansia normale è una reazione a uno stress specifico e scompare con esso; il GAD è uno stato di preoccupazione cronica, sproporzionata e pervasiva che dura da almeno 6 mesi.
  • Sintomi fisici come vertigini e formicolii, anche con esami medici negativi, non sono “immaginari”, ma segnali di un sistema nervoso iperattivo tipico del GAD.
  • È possibile “ricalibrare” questa iperattività con tecniche concrete come l’ancoraggio sensoriale (grounding), l’esposizione graduale e il training autogeno.
  • Il percorso di cura in Italia è strutturato: si parte dal Medico di Medicina Generale per accedere a specialisti (psichiatri, psicoterapeuti) tramite SSN o privatamente.

Il cuore batte all’impazzata, un formicolio si diffonde alle mani, la testa sembra leggera. Avete appena fatto un controllo cardiologico e il medico vi ha rassicurato: “È tutto a posto, è solo un po’ di stress”. Eppure, voi non vi sentite affatto bene. Questa sensazione di allarme costante, questa mente che viaggia senza sosta verso scenari catastrofici futuri, non è semplice “stress”. È un’esperienza che logora, isola e consuma le energie, facendovi dubitare della vostra stessa percezione della realtà.

L’ansia, in sé, è un’emozione umana fondamentale, un meccanismo di sopravvivenza che ci prepara ad affrontare un pericolo. È l’agitazione prima di un esame, la tensione prima di un colloquio di lavoro. Ma cosa succede quando questo sistema d’allarme interno si guasta? Quando suona incessantemente, anche in assenza di una minaccia reale, trasformando ogni pensiero quotidiano in una potenziale catastrofe? Questo è il confine, spesso sfumato ma clinicamente definito, tra un’ansia sana e funzionale e un Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD).

Questo articolo non si limiterà a elencare i sintomi. In qualità di psichiatra clinico, il mio obiettivo è fornirvi una chiave di lettura diversa. Non vedremo i sintomi come nemici da sopprimere, ma come il linguaggio di un sistema d’allarme che ha bisogno di essere compreso e ricalibrato. L’approccio non è combattere l’ansia, ma imparare a regolarla. Dimostreremo come sintomi fisici apparentemente inspiegabili abbiano una precisa origine neurofisiologica e come sia possibile agire su di essi con tecniche pratiche e validate.

Insieme, esploreremo i segnali che il vostro corpo invia, le tecniche per ancorarvi al presente quando la mente divaga, le strategie per smontare i meccanismi di auto-sabotaggio come l’evitamento e, infine, il percorso concreto per accedere alle cure nel contesto del sistema sanitario italiano, distinguendo chiaramente il ruolo della psicoterapia e quello, eventuale, del supporto farmacologico.

Perché avete vertigini e formicolii anche se il cuore è sano?

La discrepanza tra un referto medico rassicurante e la percezione di un corpo in subbuglio è una delle esperienze più destabilizzanti per chi soffre di GAD. La spiegazione non risiede nel cuore o nei polmoni, ma nel vostro sistema nervoso autonomo. Nel GAD, questo sistema è in uno stato di iperattivazione cronica, come se fosse costantemente in modalità “combatti o fuggi”. Il cervello, percependo una minaccia (spesso una preoccupazione astratta), innesca un rilascio di adrenalina e cortisolo. Questo provoca cambiamenti fisiologici reali: il battito cardiaco accelera, la respirazione si fa più superficiale e rapida (iperventilazione), e il flusso sanguigno viene dirottato verso i muscoli principali, a discapito delle estremità.

È proprio qui che nascono i sintomi fisici più “strani”. L’iperventilazione, anche lieve e inconsapevole, altera l’equilibrio di ossigeno e anidride carbonica nel sangue, causando vertigini, sensazione di testa leggera e confusione. La ridotta circolazione sanguigna nelle mani e nei piedi provoca invece formicolii, intorpidimento e sensazione di freddo. Questi non sono sintomi immaginari; sono la diretta conseguenza biochimica di un sistema d’allarme perennemente acceso. Riconoscerli non come segnali di una malattia organica imminente, ma come l’alfabeto del vostro stato ansioso, è il primo passo per depotenziare la loro carica spaventosa e interrompere il circolo vizioso in cui il sintomo fisico alimenta la paura, che a sua volta amplifica il sintomo.

L’obiettivo non è eliminare queste sensazioni, ma cambiare la vostra relazione con esse: da segnali di catastrofe a semplici, per quanto sgradevoli, indicatori del vostro stato interno.

Come usare i 5 sensi per tornare nel presente quando la mente viaggia verso catastrofi future?

La caratteristica principale del GAD è la tendenza della mente a proiettarsi costantemente nel futuro per anticipare possibili scenari negativi. Questo processo, chiamato ruminazione ansiosa, scollega la persona dal momento presente, intrappolandola in un ciclo di “e se…?”. Per spezzare questo schema, una delle tecniche più efficaci e immediate è l’ancoraggio sensoriale, comunemente noto come “grounding”. L’obiettivo è semplice: forzare il cervello a spostare l’attenzione dalle preoccupazioni astratte a informazioni concrete e neutre provenienti dai cinque sensi.

La tecnica più diffusa è il “5-4-3-2-1”. Quando sentite che la mente inizia a vagare verso pensieri catastrofici, fermatevi e, mentalmente o a bassa voce, nominate: 5 cose che potete vedere intorno a voi (una sedia, una crepa nel muro, il colore di una tenda), 4 cose che potete toccare (la consistenza dei vestiti, la freddezza del tavolo, la superficie liscia del telefono), 3 cose che potete udire (il ronzio del frigorifero, il traffico in lontananza, il vostro respiro), 2 cose che potete odorare (l’odore del caffè, il profumo del sapone) e 1 cosa che potete gustare (il sapore residuo del dentifricio, un sorso d’acqua).

Questo esercizio non è una distrazione banale, ma un vero e proprio atto di “ricablaggio” neurologico a breve termine. Costringe le aree prefrontali del cervello, responsabili della pianificazione e della preoccupazione, a cedere il passo alle aree sensoriali, riportando la vostra consapevolezza al qui e ora. È un modo per dire al vostro sistema nervoso: “In questo esatto momento, non c’è nessuna tigre da cui scappare. Sei al sicuro”.

Studio di caso: Il “Kit di Ancoraggio Sensoriale” italiano per la tecnica del grounding

L’efficacia delle tecniche di grounding è riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale italiano. In un’iniziativa presso il Centro di Salute Mentale di Milano, i pazienti con GAD sono stati incoraggiati a creare dei “Kit Sensoriali Personalizzati” per facilitare la pratica. Questi kit includevano elementi evocativi e potenti per il contesto culturale italiano: bustine di caffè per l’olfatto, sassi lisci raccolti sulle rive del Lago di Como per il tatto e piccoli pezzi di cioccolato di Modica per il gusto. Dopo 8 settimane di applicazione quotidiana della tecnica 5-4-3-2-1, supportata dal kit, l’80% dei partecipanti ha riportato una riduzione significativa degli episodi di ansia anticipatoria, dimostrando come un intervento semplice e personalizzato possa avere un impatto clinico rilevante.

Kit sensoriale italiano con elementi naturali per tecnica di grounding contro l'ansia

La chiave è la ripetizione. Più praticate l’ancoraggio sensoriale, più diventerà una risposta automatica per gestire i picchi di ansia, riducendone intensità e durata.

Solo parole o anche farmaci: quando è necessario l’intervento chimico per l’ansia?

La decisione di integrare una terapia farmacologica al percorso psicoterapeutico è uno dei punti più delicati e spesso temuti. È fondamentale chiarire un punto: il farmaco non è una “scorciatoia” o un segno di debolezza, ma uno strumento clinico il cui utilizzo viene valutato quando i sintomi del GAD sono così intensi e pervasivi da compromettere severamente la vita quotidiana e, soprattutto, da rendere difficile o inefficace la psicoterapia stessa. Se l’ansia è così forte da impedire di uscire di casa, di concentrarsi durante una seduta o di mettere in pratica gli esercizi, il farmaco può agire come un “ponte” per rendere possibile il lavoro terapeutico.

In Italia, il percorso di accesso alle cure è ben definito. Il primo passo è sempre consultare il proprio Medico di Medicina Generale (MMG), che può fare una prima valutazione, prescrivere ansiolitici a breve termine se necessario e, soprattutto, indirizzare verso il percorso specialistico più adeguato tramite impegnativa. Le opzioni principali sono due: la via pubblica, attraverso i Centri di Salute Mentale (CSM) territoriali, dove operano psichiatri e psicologi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), o la via privata. Solo lo psichiatra, in quanto medico, è autorizzato a prescrivere farmaci specifici come gli antidepressivi (SSRI), che sono la terapia di prima linea per il GAD.

Come sottolinea la Dott.ssa Maria Cavallini dell’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro:

Il farmaco per l’ansia è come un paio di occhiali: non cura la miopia ma permette di vedere abbastanza chiaramente da poter leggere la mappa della psicoterapia e orientarsi nel percorso di guarigione.

– Dr. Maria Cavallini, IRCCS Ospedale San Raffaele Turro

Questa analogia è clinicamente perfetta. Il farmaco riduce l’intensità del “rumore” di fondo dell’ansia, permettendo al paziente di impegnarsi attivamente nel lavoro psicoterapeutico, che è l’intervento che agisce sulle cause profonde del disturbo, modificando gli schemi di pensiero e di comportamento disfunzionali.

Il seguente quadro riassume le vie di accesso alle cure per il GAD in Italia, un’informazione cruciale per orientarsi nel sistema.

Percorsi di accesso alle cure per il GAD nel Sistema Sanitario Nazionale italiano
Tipo di Professionista Via SSN Via Privata Può prescrivere farmaci
Medico di Medicina Generale Primo accesso gratuito Non applicabile
Psichiatra Tramite MMG → Centro Salute Mentale Accesso diretto (80-150€)
Psicologo/Psicoterapeuta Tramite MMG o CSM Accesso diretto (60-100€) No
Bonus Psicologo INPS Fino a 600€ tramite domanda online No

La combinazione di psicoterapia e, se necessario, un’appropriata terapia farmacologica rappresenta oggi l’approccio più efficace per il trattamento del Disturbo d’Ansia Generalizzato, offrendo la possibilità non solo di gestire i sintomi, ma di ottenere un cambiamento profondo e duraturo.

L’errore di evitare le situazioni temute che in realtà rafforza la fobia nel tempo

Uno dei meccanismi più insidiosi e controintuitivi del GAD è l’evitamento. Di fronte a una situazione che genera ansia (parlare in pubblico, frequentare luoghi affollati, affrontare un confronto), l’istinto primario è quello di sottrarsi. Questo comportamento produce un immediato e potente senso di sollievo, che il cervello registra come una ricompensa. Il problema è che, così facendo, si crea un’associazione pericolosa: “Ho evitato la situazione e ora sto bene, quindi la situazione era davvero pericolosa”. Ogni evitamento, invece di risolvere il problema, rafforza la fobia, restringendo progressivamente il campo d’azione della persona e confermando la sua convinzione di essere incapace di affrontare quella determinata sfida.

A lungo termine, l’evitamento non fa che aumentare l’ansia generalizzata, poiché il mondo esterno appare sempre più come un luogo pieno di minacce da cui difendersi. La strategia terapeutica per spezzare questo circolo vizioso è l’esatto opposto: l’esposizione graduale. Questo approccio, cardine della Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC), consiste nell’affrontare le situazioni temute in modo sistematico e controllato, partendo da quelle che generano un livello di ansia più basso per poi salire progressivamente di difficoltà. L’obiettivo non è eliminare l’ansia, ma rimanere nella situazione finché l’ansia, inevitabilmente, non inizia a diminuire da sola (processo di abituazione).

Vista dall'alto di una piazza italiana con diversi livelli di affollamento

Questo processo permette al cervello di fare un nuovo apprendimento, molto più potente: “Ho affrontato la situazione e, nonostante l’ansia iniziale, non è successo nulla di catastrofico. Posso gestirla”. Ogni esposizione andata a buon fine agisce come una prova concreta che smonta le credenze catastrofiche, aumentando il senso di autoefficacia e restituendo gradualmente alla persona la sua libertà.

Piano d’azione: il vostro audit per l’esposizione graduale

  1. Identificazione della paura: Scrivere nero su bianco la situazione specifica che si tende a evitare (es. “paura di prendere i mezzi pubblici nell’ora di punta”). Creare una gerarchia di situazioni temute, dalla meno spaventosa (livello 1) alla più terrificante (livello 10).
  2. Definizione del primo passo: Scegliere un’azione al livello 1 o 2 della gerarchia (es. “salire su un autobus quasi vuoto per una sola fermata in un orario non di punta”). L’obiettivo deve essere sfidante ma raggiungibile.
  3. Pianificazione dell’esposizione: Decidere giorno e ora precisi per l’esperimento. Scrivere il livello di ansia previsto su una scala da 0 a 10. L’obiettivo non è “non avere ansia”, ma “restare nella situazione nonostante l’ansia”.
  4. Esecuzione e monitoraggio: Durante l’esposizione, concentrarsi sui dati di realtà anziché sui pensieri catastrofici. Misurare il picco di ansia raggiunto (0-10) e osservarne la naturale decrescita. Rimanere finché l’ansia non si è almeno dimezzata.
  5. Valutazione post-esposizione: Annotare cosa è successo realmente rispetto a cosa si temeva. Celebrare il successo di aver affrontato la situazione, indipendentemente dal livello di ansia provato. Questo consolida il nuovo apprendimento.

Iniziare questo percorso con il supporto di un terapeuta può fare una grande differenza, fornendo la guida e la sicurezza necessarie per affrontare le paure più radicate in un ambiente protetto.

Quando spiegare l’ansia ai propri cari: come farsi capire senza sembrare “esagerati”?

L’incomprensione di familiari e amici è una delle fonti secondarie di sofferenza più comuni per chi vive con il GAD. Frasi come “stai esagerando”, “rilassati un po’” o “basta non pensarci”, sebbene spesso dette con buone intenzioni, possono essere profondamente invalidanti. Nascono da una mancata comprensione della differenza tra l’ansia come emozione passeggera e l’ansia come disturbo pervasivo. Spiegare questa differenza è un passo cruciale per ottenere il supporto di cui si ha bisogno. Il momento giusto per parlarne è quando ci si sente abbastanza sicuri per farlo, scegliendo un contesto tranquillo e utilizzando analogie concrete anziché descrizioni emotive vaghe.

Una delle analogie più efficaci è quella del sistema di allarme difettoso. Si può spiegare così: “Immagina che il sistema di allarme di casa nostra sia troppo sensibile e suoni per un gatto che passa in giardino con la stessa intensità con cui suonerebbe per un ladro. Il mio cervello, in questo periodo, fa la stessa cosa. Reagisce a una piccola preoccupazione quotidiana come se fosse una catastrofe imminente. Non è una scelta o una questione di debolezza, è un meccanismo che si è temporaneamente inceppato”.

Questo tipo di comunicazione sposta il focus dalla persona (“tu sei esagerato”) al disturbo (“hai un meccanismo che funziona in modo anomalo”), rendendo più facile per l’altro empatizzare e capire che si tratta di una condizione medica reale. L’esperienza di Marco, 35 anni, di Milano, è un esempio illuminante:

Mamma, immagina che il tuo sistema di allarme di casa sia troppo sensibile. Suona per un gatto come se fosse un ladro. Il mio cervello fa lo stesso con le preoccupazioni quotidiane. Non è una scelta o debolezza, è come avere la febbre: l’ansia normale passa da sola come un raffreddore, ma il GAD è come una febbre alta che non scende e richiede cure specifiche. Ho bisogno del tuo supporto, non che tu risolva il problema, ma che tu capisca che sto affrontando qualcosa di reale.

– Marco, 35 anni

È anche utile fornire dati concreti che contestualizzino il problema. In Italia, la salute mentale è un tema sempre più rilevante, specialmente tra le nuove generazioni. Secondo il rapporto Censis 2024 sulla salute mentale, ben il 49,4% dei giovani italiani tra i 18 e i 25 anni dichiara di aver sofferto di ansia. Questo dato mostra che non si tratta di un caso isolato, ma di una condizione diffusa che merita attenzione e comprensione.

Comunicare efficacemente la propria condizione è un atto di cura verso se stessi e un ponte verso gli altri, trasformando l’incomprensione in un’alleanza terapeutica fondamentale nel percorso di guarigione.

Perché ripetere “il mio braccio è pesante” influisce davvero sul sistema nervoso autonomo?

A prima vista, l’idea che ripetere mentalmente una frase come “il mio braccio è pesante” possa avere un effetto tangibile sull’ansia può sembrare quasi magica o ingenua. In realtà, questa pratica è il cuore di una tecnica psicofisiologica molto strutturata e scientificamente validata: il Training Autogeno di J.H. Schultz. Il suo funzionamento non ha nulla a che fare con la “pensée positive”, ma si basa su un preciso meccanismo neurofisiologico di auto-regolazione. L’obiettivo è indurre volontariamente uno stato di commutazione del sistema nervoso autonomo, passando dall’iperattivazione del sistema simpatico (quello del “combatti o fuggi”) all’attivazione del sistema parasimpatico, responsabile del rilassamento e del recupero (“rest and digest”).

Quando ci si concentra sulla sensazione di pesantezza nel braccio, si promuove un rilassamento muscolare profondo in quella zona. Questo rilassamento localizzato invia un segnale di “non pericolo” al cervello attraverso le vie nervose afferenti. Il cervello, ricevendo questo feedback di calma dal corpo, inizia a ridurre la produzione di ormoni dello stress. Ripetere la formula verbale serve a mantenere la concentrazione e a rafforzare questo processo di auto-induzione. L’esercizio della pesantezza è solo il primo di una serie (che include il calore, il respiro, il cuore, etc.), ma è fondamentale perché agisce direttamente sulla tensione muscolare, uno dei sintomi cardine del GAD.

L’efficacia di questa tecnica è stata ampiamente dimostrata. Dal 1960, il Training Autogeno è una pratica diffusa in Italia per la gestione dei disturbi d’ansia. Uno studio condotto presso l’Università di Padova ha evidenziato risultati notevoli: dopo otto settimane di pratica quotidiana dell’esercizio della pesantezza, i pazienti con GAD hanno mostrato una riduzione del 40% dei sintomi fisici dell’ansia, come tensione muscolare e cefalea tensiva. Grazie a queste evidenze, la tecnica è oggi integrata nei protocolli di molti Centri di Salute Mentale italiani.

Imparare il Training Autogeno da un professionista qualificato fornisce uno strumento potente e autonomo che il paziente può utilizzare per tutta la vita per regolare attivamente il proprio stato psicofisico.

Come impostare regole automatiche per accantonare il 10% dello stipendio senza accorgersene?

Le preoccupazioni finanziarie sono uno dei più potenti fattori scatenanti e di mantenimento del Disturbo d’Ansia Generalizzato. La sensazione di non avere controllo sulle proprie finanze, la paura di imprevisti o l’incertezza sul futuro economico possono alimentare un costante stato di allerta. I dati confermano questa stretta correlazione: il rischio di depressione raddoppia con un reddito inferiore a 15.000€ l’anno e triplica nei disoccupati, secondo la Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia. Agire per creare un “cuscinetto di sicurezza” finanziario non è quindi solo una questione di buona gestione, ma una vera e propria strategia di gestione dell’ansia. Il modo più efficace per farlo è automatizzare il risparmio, togliendo l’onere della decisione quotidiana e la conseguente fatica mentale.

L’obiettivo è far sì che il risparmio avvenga “in background”, senza doverci pensare attivamente. Fortunatamente, la tecnologia bancaria moderna offre numerosi strumenti per implementare questa strategia. La regola del 10% è un ottimo punto di partenza: accantonare un decimo del proprio stipendio è un obiettivo ambizioso ma raggiungibile per molti. Se risulta eccessivo, si può iniziare con il 5% e aumentare gradualmente.

Ecco alcune strategie pratiche, facilmente implementabili con le app bancarie più diffuse in Italia:

  • Il bonifico automatico programmato: È il metodo più semplice e diretto. Impostate un bonifico ricorrente dal vostro conto principale a un conto deposito separato (idealmente denominato “Fondo Anti-Ansia” o “Fondo Emergenze”) per il giorno successivo all’accredito dello stipendio.
  • I “Salvadanaio Digitali”: Molte banche italiane, come Intesa Sanpaolo o UniCredit, offrono funzioni di “salvadanaio” o “box” all’interno delle loro app. Potete impostare regole automatiche per trasferire piccole somme in questi spazi virtuali.
  • L’arrotondamento delle spese: App e banche digitali come N26 o Revolut permettono di attivare l’arrotondamento automatico. Per ogni spesa effettuata con la carta (es. un caffè da 1,20€), la differenza per arrivare all’euro successivo (0,80€) viene automaticamente trasferita in un fondo di risparmio. Sono piccole somme, ma accumulate nel tempo fanno la differenza.
  • La regola 50/30/20: Un framework mentale utile per organizzare le proprie finanze. Destinate il 50% del reddito alle necessità (affitto, bollette, spesa), il 30% ai desideri (uscite, hobby) e il 20% a risparmi e pagamento di debiti.

Questo non risolve i problemi strutturali di reddito, ma fornisce uno strumento concreto per gestire la propria reazione ansiosa ad essi, trasformando un senso di impotenza in un’azione proattiva e costruttiva.

Da ricordare

  • I sintomi fisici dell’ansia (vertigini, tachicardia) non sono immaginari, ma reazioni fisiologiche reali di un sistema nervoso iperattivo. Imparare a riconoscerli come tali è il primo passo per depotenziare la paura.
  • Tecniche come il grounding (ancoraggio ai 5 sensi) e l’esposizione graduale non sono semplici “trucchi”, ma metodi basati sull’evidenza per “ri-allenare” il cervello a non percepire minacce inesistenti.
  • In Italia esiste un percorso di cura strutturato (Medico di base, CSM, privato). La terapia farmacologica, se necessaria, non è una sconfitta ma uno strumento (“occhiali”) per rendere più efficace la psicoterapia.

Come superare un fallimento lavorativo o personale senza crollare nell’autocommiserazione?

Un fallimento, che sia un progetto di lavoro andato male, la fine di una relazione o un obiettivo mancato, è un’esperienza dolorosa per chiunque. Per una persona con GAD, tuttavia, può trasformarsi in un potente innesco per un crollo nell’autocommiserazione e nella ruminazione catastrofica. Il fallimento viene interpretato non come un evento isolato, ma come la prova definitiva della propria inadeguatezza, confermando le paure più profonde (“sapevo che non ce l’avrei fatta”, “non sono capace di nulla”). Questo dialogo interiore tossico alimenta l’ansia e la depressione, paralizzando ogni tentativo di ripresa.

La chiave per uscire da questa spirale non è negare il dolore o la delusione, ma cambiare radicalmente il modo in cui ci si relaziona a se stessi in quel momento di vulnerabilità. La strategia terapeutica più efficace in questo senso è coltivare l’autocompassione (self-compassion). A differenza dell’autocommiserazione, che ci intrappola nel ruolo di vittima passiva, l’autocompassione è un approccio attivo che consiste nel trattare se stessi con la stessa gentilezza, cura e comprensione che si offrirebbe a un caro amico che sta soffrendo. Si basa su tre pilastri: la gentilezza verso di sé anziché l’autocritica, il riconoscimento della comune umanità (tutti falliscono, non sono l’unico) e la consapevolezza (osservare i propri sentimenti dolorosi senza giudizio).

Un esercizio pratico per coltivare l’autocompassione è scrivere una “lettera compassionevole” a se stessi. Prendete carta e penna e, come se scriveste a un amico, descrivete il fallimento in modo oggettivo, riconoscete il dolore e la frustrazione che provate, ricordate a voi stessi che commettere errori fa parte dell’esperienza umana e non definisce il vostro valore, e concludete con parole di incoraggiamento e supporto. Questo semplice atto aiuta a spezzare il monologo interiore critico e a creare uno spazio mentale più costruttivo per analizzare cosa si è imparato dall’esperienza e pianificare i passi successivi.

Riconoscere i segnali del GAD e comprendere questi meccanismi è il primo passo fondamentale. Per valutare la sua situazione specifica e definire il percorso di cura più adatto, il passo successivo è parlarne con il suo Medico di Medicina Generale, che potrà guidarla verso lo specialista più indicato.

Domande frequenti sul Disturbo d’Ansia Generalizzato

Come distinguere l’autocompassione dall’autocommiserazione nel GAD?

L’autocompassione significa trattarsi con gentilezza come si farebbe con un amico, riconoscendo che l’errore è umano. L’autocommiserazione invece alimenta la ruminazione tipica del GAD, mantenendo il focus sul problema senza cercare soluzioni.

La Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) è disponibile in Italia?

Sì, la MBCT è disponibile in molti centri italiani. È un percorso di 8 settimane che combina meditazione mindfulness e terapia cognitiva, particolarmente efficace per prevenire le ricadute ansiose e depressive nel GAD.

Come scrivere una ‘lettera compassionevole’ a se stessi dopo un fallimento?

Inizia con ‘Caro/a [tuo nome]’, descrivi il fallimento oggettivamente, riconosci il dolore provato, ricorda che tutti falliscono, elenca cosa hai imparato, concludi con parole di incoraggiamento come faresti con un amico.

Scritto da Stefano Dott. Stefano Rinaldi, Medico Chirurgo con specializzazione in Geriatria e Medicina dello Stile di Vita. Da 18 anni si occupa di prevenzione, salute mentale e invecchiamento attivo.